Gli auguri di Natale del vescovo Marco Prastaro

Carissimi,
due mesi fa iniziavo il mio ministero episcopale fra voi ed ora, per la prima volta, celebriamo insieme il Santo Natale. In questa solennità ci raduniamo insieme attorno al Bambino. Quel bambino è Dio che si fa uomo. Il nostro Dio, il Dio dell’amore che non ha paura di condividere la nostra vita, con le sue gioie, ma anche con le sue debolezze, le sue chiusure, i suoi peccati. Insomma, la vita dell’uomo, così come essa è, senza finzioni né artifici.
Ogni anno mi colpisce pensare che Dio ha voluto nascere proprio a Betlemme, “in una grotta al freddo e al gelo”, avrebbe potuto nascere in qualsiasi altro posto, in un posto migliore, ma ha scelto di nascere a Betlemme. E proprio lì continua a voler nascere ancora oggi, nella nostra personale Betlemme, perché sa che lì è il luogo dove più abbiamo bisogno del suo calore, del suo amore, della sua salvezza!
E allora anche in questo strampalato e preoccupante 2018 viene ancora a nascere nei nostri cuori, spesso così freddi e lontani da Lui. Viene ancora a nascere nella vita di ogni uomo che c’è sulla terra, e che magari si muove da una parte all’altra della terra. Viene a nascere in questo mondo che non è ancora quel mondo di pace e giustizia che Lui aveva voluto e pensato per noi. Non può che venire qui, perché Dio non può che amare gli uomini, tutti gli uomini, ogni singolo uomo, nella concretezza e banalità della vita di ciascuno di noi. Non può che essere così, perché Dio è così, Dio è amore.
Auguri a tutti voi che siete la mia amata famiglia perché possiate incontrare Gesù che prende vita nella vostra vita.

+ Marco

Le feste Natalizie sono anche i giorni dei ricordi che ci sono cari; sono andato a cercare il diario del mio primo Natale in Kenya quando stava per aprirsi il giubileo del 2000. Condivido con voi questo ricordo ormai lontano.

Venerdì 24 dicembre 1999
Al mattino mi preparo la predica per la messa del pomeriggio. Alle 17 celebro messa qui a Lodokejek, durante l’omelia ricordo come la nostra vita, ora che Gesù è venuto fra gli uomini, è più bella, Lui porta con noi e come noi i dolori e le fatiche dell’esistenza quotidiana.
Alle 20 partiamo per Kisima, lungo il viaggio i giovani che ci accompagnano cantano festosamente. Anche quest’anno ci avvolge l’immenso cielo stellato africano. Alle 2, al cancello della missione, iniziamo la Messa. In processione, cantando ci portiamo alla porta della Chiesa. Il suono del corno accompagna la nostra processione a ricordare che qualcosa di veramente eccezionale sta accadendo. Quindi Leparsaya, il catechista, spiega ciò che sta per accadere come segno di apertura del Giubileo. Gli anziani bruceranno i rametti di 4 alberi considerati sacri dalla tradizione Samburu. É il rito tradizionale che si svolge alla porta del recinto delle capanne quando i pastori rientrano con le bestie dopo essere andati lontano a ricercare pascoli e acqua. è un gesto di purificazione da tutto ciò che si può aver vissuto e preso nel periodo in cui si è stati lontani. Ora finalmente si è a casa e ricomincia la vita di sempre, quella vera, fuori dall’emergenza della siccità. Quindi gli anziani bruciano nel piccolo braciere i rametti; ne esce un forte fumo profumato. Dopo di ciò benedicono tutti i presenti. Gli anziani pronunciano le preghiere di benedizione e tutti rispondiamo dicendo, in una sorta di cantilena, “Nkai” (Dio) e apriamo e chiudiamo le mani, è il gesto della preghiera, per chiamare Dio. Mi emoziono pensando che il nostro Natale è proprio un accorato desiderio di chiamare Dio a venire a vivere con noi e ad accompagnare la nostra vita, benedicendo il nostro cammino. Mentre preghiamo gli anziani presenti sollevano i loro bastoni facendoli ondeggiare dall’alto al basso, sempre ad invocare la venuta del Signore. Un altro anziano, a nome degli altri, passa fra la gente e asperge col latte. La benedizione e la purificazione ora è piena, possiamo iniziare il nostro viaggio del giubileo e ritornare in quella casa tanto sospirata che è la vita cristiana vissuta in pieno. Siamo di nuovo a casa!
Entriamo in Chiesa, i chierichetti aprono la nostra processione, io porto il vangelo, che è la “luce ai nostri passi”, segue la gente che canta ed in fine le ragazze che accompagnano il canto con la danza. La messa inizia, dopo il “Signore pietà” il catechista dà l’annuncio dell’inizio del giubileo, 2 lettori propongono le preghiere e poi don Adolfo prega per tutti noi. Quindi cantiamo il Gloria, il canto che annuncia la nascita di Gesù. Qui è come essere a Betlemme, quasi come se il tempo si fosse fermato a 2000 anni fa quando la storia del cristianesimo è iniziata.
Nell’omelia don Adolfo ricorda il cammino dell’anno santo che ci attende, sottolineando soprattutto come dovrà essere un anno di pace e di cammino intenso di fede.
A fine messa siamo tutti contenti e ci scambiamo gli auguri. Prima di tornare a casa la “matron” della scuola mi chiede di riaccompagnarla a casa in macchina, abita lontano. Con lei vengono altre due donne. In effetti la sua casa è ad almeno 6/7 chilometri dalla chiesa, mi dice che, nonostante sia zoppa, ogni mattina molto presto si fa questa “passeggiata” per andare in chiesa a pregare.
Rientriamo contenti a Lodokejek e prima di salutarci beviamo un tè con i giovani che ci hanno accompagnato. Ormai è mezzanotte e mezza e andiamo a dormire.
La celebrazione di questa sera la ripeteremo domani e nei giorni a seguire negli altri villaggi.